Monsami è il centralinista della ditta per cui lavoro. Ha la mia stessa età, parla un pò di inglese e sà qualche parola di italiano. Mi chiede sempre che tempo fà in Italia: non credo abbia bene capito la questione delle stagioni. Quaggiù d'altronde hanno solamente due opzioni climatiche, caldo umido e caldo umido con pioggia.
Monsami è minuto: all'incirca un metro e sessanta per una quarantina di chili e parla con voce squillante. Ha l'immancabile baffo, indossa la sua bella camicia e tiene sempre una penna nel taschino. Tre must irrinunciabili per ogni indiano che si rispetti.
Ha sempre il sorriso sulle labbra, è molto disponibile e tutte le mattine viene nel mio ufficio per darmi il benvenuto. E' orgoglioso del suo lavoro e più di una volta mi ha mostrato come ricorda a memoria tutti i numeri telefonici della rubrica.
La sera verso le cinque inizia ad impacchettare decine e decine di campioni da spedire con i corrieri: è preciso e meticoloso in tutto quello che fà.
Monsami veniva al lavoro in autobus. Un giorno lo vedo arrivare, tutto contento, sopra ad una Hero Honda, con il casco di due taglie più grande.
Gli faccio i complimenti per la bella moto e mi spiega che quella insieme a 20 grammi d'oro era stata la dote che sua moglie gli aveva portato il giorno delle nozze. La maggiorparte dei matrimoni indiani, soprattutto quà nel sud, sono combinati: i genitori scelgono per i loro figli la moglie e fra le varie pretendenti la scelta cade su quella che ha la dote migliore.
Monsami mi ha chiesto se ho una moglie, gli ho risposto di no come se mi avesse domandato chissà cosa. Mi ha guardato perplesso.
C.
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